E se le risposte più appaganti fossero quelle che non scopriamo mai? Questa è una domanda che merita di tenerci svegli la notte. In un’epoca in cui i search engine risolvono ogni incertezza in pochi secondi, le serie TV sentono la necessità di spiegare ogni punto della trama, e le persone sono ossessionate dal sapere ogni questione, analizzare, spiegare e “svelare” anche la minima incertezza, il mistero propriamente sembra minacciato. Ma cosa succederebbe se i migliori misteri fossero proprio quelli lasciati intatti?
Nel cinema, David Lynch è un audace custode del mistero. I suoi film sono come sogni febbrilli che resistono tenacemente a qualsiasi spiegazione e provocano un senso di disagio con ciò che rimane inspiegato. Prendiamo TWin Peaks, forse la più grande serie drammatica mai creata. Quando i fan hanno voluto risposte sul suo finale criptico, Lynch li lasciò tutti nella nebbia. Per comprenderlo veramente, si bisogna abbraciare la confusione e, sopratutto, trovare una strana soddisfazione nel comprendere. Sto con chi crede che la domanda stessa sia più importante della risposta.
Forse sia che la chiarezza uccide la magia.
Ho un amico che non riusce a resistere cercare su Google la fine di ogni film thriller prima ancora di superare la prima mezz’ora. Ogni colpo di scena doveva essere svelato prima di poter essere sorpreso. “Perché lo fai?”, l’ho chiesto. “Odio non sapere”, mi ha risposto. Ma questa resistenza alla spiegazione non è solo un capriccio artistico: è una percezione profonda di come la mente umana si relazioni al mistero. Potrebbe essere che il sapere sottragga qualcosa, privando l’esperienza della sua essenza: l’ignoto. In altre parole, scoprire troppo presto è come aprire un regalo di Natale in anticipo: certo, sai cosa c`è dentro, ma la gioia della scoperta è scomparsa.
Forse siamo diventati allergici al mistero, e questa allergia si è diffusa in ogni angolo della vita. La ricerca constante di risposte è come un progetto architettonico fotocopiato troppe volte: chiaro, sì, ma senza profondità, intrigo o personalità. Lo stesso vale per l’esperienza umana: se ogni singolo mistero è noto, cosa resta da esplorare?
Le più grandi scoperte scientifiche spesso non iniziarono con risposte, ma con qualcuno disposto a rimanere nell’incertezza abbastanza a lungo da vedere qualcosa di nuovo. Ad esempio, la struttura doppia elica del DNA è apparsa a Francis Crick in un sogno, non in una deduzione logica; Georg Cantor affermò di aver ricevuto la teoria degli insiemi direttamente da Dio, e Kukulé sognò un Ouroboros prima di scoprire la struttura del benzeno.
L’ossessione moderna per la spiegazione si estende anche alle nostre vite personali: le app di incontri promettono di ridurre il romanticismo ad algoritimi, i test della personalità affermano di racchiudere la complessità umana in codici di quattro lettere. Il social media ci impogono di rendere ogni pensiero e sentimento esplicito, ma in questa corsa a spiegare tutto si perde il territorio ricco dell’implicito e del misteriosamente suggerito.
C’è un concetto giapponese chiamato yugen: la sottile profondità delle cose che non possono essere espresse direttamente. Si trova nello spazio tra le parole, nell’ombra che suggerisce più di quanto la luce riveli, nella domanda che apre piuttosto che chiudere le possibilità. La cultura occidentale, con la sua richiesta di risposte chiare e significati espliciti, potrebbe imparare da questa apprezzamento per ciò che non è detto. Da qui, si può facilmente coltivare l’idea che forse i migliori misteri sono quelli che ci fanno continuare a indagare, che lasciano spazio all’interpretazione e sfidano la spiegazione. Dopotutto, dov’è il divertimento se tutto è già scoperto? E più importante, dove sono la crescita, la meraviglia e l’impatto che ci rendono umani?
La gioia del mistero irrisolto non è ignoranza volontaria o rifiuto di cercare la comprensione. Piuttosto, si può sostenere che è il riconoscimento che alcune verità sono troppo complesse, sfumate e vive per essere fissate come farfalle in una collezione. A volte, la risposta più sincera è semplicemente non lo so.
In definitiva, il mistero non è un problema da risolvere, ma uno spazio da abitare: un vuoto fertile dove cresce l’immaginazione, vive la possibilità, e lo spirito umano trova lo spazio per danzare con l’ignoto. In un mondo sempre più privo di meraviglia, proteggere questi spazi di incertezza non è solo un piacere, ma una necessità.